Il nostro territorio, già in epoca etrusca, era servito da vie di comunicazione stradali che furono riutilizzate successivamente dai Romani. Le vie di comunicazione, tuttavia, non erano rappresentate soltanto da strade, ma anche da fiumi, come il Paglia ed il Tevere, a quei tempi navigabili. La navigazione tiberina era privilegiata per gli scambi commerciali così da fornire una rete di comunicazione con punti nevralgici che collegavano Roma con le regioni più interne, attraverso il Paglia, la Nera, l'Aniene.
La presenza di resti di anfore denuncia l'esistenza di vari centri di scambio commerciale e in più il recupero delle strutture murarie, di cisterne, di terme e di impianti portuali testimonia una fiorente realtà abitativa lungo il Tevere. Lungo il tratto fluviale si stanziarono gli Umbri, i Falisci, gli Osci, intrattenendo nel IV sec. a.C. rapporti con Roma. Attraverso alcuni punti di raccordo, che permettevano lo spostamento da una riva all'altra,contribuendo a stabilizzare i rapporti, si ritenne opportuno edificare dei ponti, che facilitassero i contatti tra le varie popolazioni.Ci suggerisce Tito Livio[1]: “e grandi convogli di frumento giunsero a Roma per il Tevere, grazie agli ottimi uffici dell'Etruria. Dionigi D'Alicarnasso[2]testimonia come il Tevere fosse una via facilmente navigabile già in epoca romana :”Il Tevere non è traversato nella sua foce da cumuli di arene, come altri gran fiumi, né dilaga in stagni e paludi, né si consuma in altre maniere prima che giunga nel mare: ma è sempre navigabile con barche fluviali mezzane”. Livio e Dionigi concordano sul fatto che il Tevere e i suoi affluenti fossero percorsi da piccole, medie, grandi imbarcazioni in inverno e in primavera, tranne che in estate, dato che il livello delle loro acque si abbassava.Tra le merci più diffuse troviamo grano, farina, vino, olio ed ortaggi, prodotti necessari per il fabbisogno giornaliero di Roma.Tra i più importanti ricordiamo il sale proveniente dalle saline di Ostia, stoffe, aromi, cristalli, calzature, bronzi e ceramiche. In età romana la via fluviale venne particolarmenteprivilegiata, poiché le comunicazioni sull’acqua erano le più sicure ed economiche. A partire dal I sec. a.C. l’Umbria conosce un riassetto territoriale partendo dalla zona amerino–orvietanotuderte, che permette il collegamento tra le ville romane nel tratto umbrolaziale, garantito da numerosi impianti portualifluviali. Il distretto orvietano ha il suo punto di riferimento nelle strutture di Pagliano, porto attivo dalla seconda metà del I sec. a.C. al IV sec. d.C. Sebbene i primi abitanti di questa zona fossero stati gli Etruschi, come testimoniano i ritrovamenti di tombe etrusche nei pressi di Castellonchio, certamente il massimo periodo di sviluppo è quello in epoca romana, come attestano i ruderi in opus reticolatum (parametro caratterizzato da elementi in tufo piramidali affogati nel calcestruzzo dei quali rimangono in vista solo le basi quadrate). Pagliano, situato su una lingua di terra a forma di cuneo, assai fertile, dista circa 6 km da Orvieto in direzione SudEst nel punto in cui il Tevere riceve le acque del Paglia. È ancora aperta la questione sulla natura e funzione che, in epoca romana, rivestiva Pagliano. Una recente iniziativa della Soprintendenza archeologica dell’ Umbria, in collaborazione con il Corpo forestale dello Stato, ha consentito la “riscoperta” dell’impianto portuale con un’ opera di disboscamento. Mancini(1890) e poi Perali(1919) ritenevano che si trattasse di un edificio termale, per il ritrovamento di alcune tubature entro l’abitato.Tuttavia la sua forma e disposizione, dissimili da quelle in uso nelle terme romane, e la presenza di resti di un ponte sulla sponda sinistra del Paglia in quella zona, indussero C. F. Gamurrini ad ipotizzare che Pagliano fosse una mansio, stazione per viandanti.Il fatto che ci fosse tale struttura implica la probabile esistenza di una strada di fondo valle che collegava OrvietoTuder. Ma nel 1913 Ricci, dal nome “Pagliano”, che certamente era quello di una proprietà romana, pensò che si trattasse di una stazione di navigatori e di una villa rustica. Wenceslao Valentini, poi avanzò l’ ipotesi che Pagliano fosse quella fabbrica di fittili ordinari, nota con il nome di portus Licinii, sia per il ritrovamento di un bollo figulino con il nome di Licinius al di là del Tevere e sia per il fatto che nelle carte medievali quella zona era designata con il toponimo Ricinianum, possibile correzione di Licinianum. Dalla campagna di scavo condotta nel sito archeologico sono emersi elementi importanti che hanno indotto gli esperti della Soprintendenza archeologica dell’Umbria che Pagliano fosse un importante centro commerciale dell’ Italia centrale. Infatti molte anfore vinarie ed olearie, rinvenute nel sito, testimoniano che qui c’erano magazzini di tali prodotti. La presenza di 16 macine da mulino e di granai a nordest, attestano che qui c’era un pistrinense opificium in cui avveniva la trasformazione del grano in farina; i molti vasi di arte aretina e campana, ed altri oggetti di gusto raffinato come monili argentei, candelabri, collane, fibule, statue bronzee o di marmo, confermano che qui c’era un emporio commerciale, non potendo così tanto materiale appartenere alla popolazione di stanza, costituita prevalentemente da schiavi. Prima della macinazione il grano veniva lavato in acqua corrente, per mezzo di vasche assai capaci e intercomunicanti per via di canaletti; questi si trovano nei vani attigui alla sala di macinazione, alimentati da una fontana ancora oggi visibile sotto un arco. Per l’asciugatura del grano bastavano aria e sole, ma poiché a Pagliano si lavorava prevalentemente d’inverno per sfruttare la temporanea navigabilità del fiume, si ricorreva ad ambienti riscaldati. Oltre all’aspetto commerciale ed artigianale vi era quello portuale. E’ visibile, infatti, un molo che precede i fabbricati insieme a piloni di ormeggio che fungevano da luogo di approdo e banchina di carico e scarico delle merci. Quindi possiamo parlare di doppio porto fluviale. Complementare ad esso è situata la via terrestre, segnalata da F.C. Gamurrini grazie alla presenza di un tratto di muro costruito con pietra squadrata da ambo le parti simili a teste di ponte. Ciò ha dato la possibilità a Dottarelli di identificarla come la strada FerentinumTuder, evidente raccordo anulare con le vie fluviali. Altro ritrovamento che ci suggerisce il passaggio di una strada ivi situata è quello di un cippo marmoreo dedicato ad Ercole (come dimostra l’iscrizione) che nell’Italia centrale era identificato come tutor Viarum. Il sito archeologico oggi è distribuito su due piani distinti: uno sulla sponda sinistra, l’altro sulla sponda destra. Il piano più basso, quello lungo la sponda sinistra, offre una veduta dell’impianto edilizio che si estende per circa 8000 mq. Il secondo presenta i vani ricolmi di terra alluvionale. Nei vani sono stati ritrovati reperti interessanti, tra i quali frammenti di fittili di arte locale come lucerne e ceramiche aretine e utensili come aghi e anfore e una grande quantità di monete coniate dall’epoca di Augusto fino a quella di Costanzo, che indicano che quel luogo era sede di scambi commerciali. Altri ritrovamenti testimoniano alcuni vani che avevano la funzione di bagno, provvisti oltre che di vasche, anche di oggetti da toilette; in altri sono stati rinvenute colonne in travertino, cippi sepolcrali, nicchie semicircolari e canali per scaricare l’acqua. Probabilmente nella parte inferiore, quella che guarda il corso del Paglia, si pensa che ci fosse la zona adibita alla macinazione e che il vano centrale possa essere stato un luogo di mercato con intorno un ambulacro coperto. Sicuramente in questi luoghi c’era un’intensa attività dovuta sia all’affluenza degli abitanti che vi si recavano per compere o per lavoro, sia di negozianti, di bottegai e di comuni viandanti. La popolazione che abitava la zona limitrofa al porto era di bassa estrazione, ciò è confermato dal fatto che le abitazioni erano addossate le une contro le altre e prive di atrium e peristilium, quindi più assomiglianti alle insulae piuttosto che alle domus gentilizie. Le strutture murarie, le varie iscrizioni, le epigrafi, le monete, la ceramica, sono dati che ci consentono di stabilire una delimitazione cronologica entro la quale Pagliano ha svolto la sua fiorente attività commerciale e portuale. Si ipotizza che le origini furono molto antiche per la probabile esistenza del porto già al tempo degli scontri tra Roma e l’Etruria per il predominio sul Tevere (IV III sec. a.C.); un’ altra ipotesi lo fa risalire al tempo di Silla, nell’80 a.C., in quanto fu allora che l’opus reticolatum cominciò ad apparire. Ulteriori ricerche potrebbero consentire una datazione ancora più antica: Pagliano sarebbe entrato in funzione ancora prima del I secolo a.C. A conferma di ciò si possono ricordare ruderi di muri in opus incertum. Di grande importanza per delineare il periodo di attività del porto sono le iscrizioni doliari e le ceramiche di Pagliano; queste sono distinguibili per il marchio con il nome dei vasai noti, per la colorazione nera o rossocorallino e per le figurazioni in rilievo. I vasi neri risalgono al II secolo a.C., mentre quelli rossi al I secolo a.C. Sul lato sinistro del Paglia sono stati ritrovati dei resti di scheletri umani che hanno messo in evidenza un’area di circa 900 mq destinati alla sepoltura. E’ di grande interesse l’aver portato alla luce cadaveri interi deposti in urne di coccio ricalcanti la tipologia degli antichi orci italici. La fine dell’ attività di Pagliano va cercata negli avvenimenti che accaddero tra gli anni 395 a.C. e 408 d.C. L’avvenimento che domina tale epoca è la discesa in Italia di Alarico re dei Visigoti. Il suo intento era quello di ostacolare la navigazione sul Tevere per togliere ai Romani i rifornimenti.Durante questa operazione egli distrusse Pagliano, dopo aver abbattuto anche il porto di Ostia. Molto probabilmente il porto venne incendiato come dimostrano i segni dell’azione distruttiva del fuoco.